Firenze ha sempre la sua Miss: da Miss Fallaci a Missinflorence
- Erika
- 18 feb
- Tempo di lettura: 2 min
Pronta, proprio come ho imparato da te, con la penna in mano e un quaderno aperto.
Pronta a prendere appunti, ad annotare i miei pensieri.
Sono pronta da questo pomeriggio perché ho sempre pensato che devo essere la prima ad arrivare su una storia che voglio raccontare.
La storia che mi lega a te inizia da una foto. Questa foto.

Una bella persona mi scrisse: “hai l’espressione della grande Oriana”.
Non sono mai riuscita ad incontrarti ma ho sempre sentito una forte attrazione mentale nei tuoi confronti.
Ti ho conosciuta per caso: nella libreria della casa dei miei c’erano due tuoi libri, Lettera ad un bambino mai nato e Un uomo, devo essere sincera? Non mi erano piaciuti molto. Li ho sempre trovati privi di quell’energia che poi ho ritrovato e ammirato nelle tue parole.
Spesso quando leggo una tua frase penso che meglio di così non è davvero possibile scrivere.
Non è un esercizio di stile il tuo, è un’abilità innata di essere stata in grado di muoverti con leggerezza tra le parole, usando la tua penna e la tua Lettera 22 per descrivere gli scenari più difficili, dalla guerra ai sentimenti. Adesso la tua macchina da scrivere la vedo ogni giorno nel luogo in cui lavoro, ci passo davanti tutte le mattine prima di andare a fare ricerca.
Non voglio imitarti. Io ho il mio stile e tu il tuo. Non possiamo essere clonate come statue di cera da mettere in mostra. L’unico nostro mezzo di espressione è scrivere, usare le parole, dare concretezza alla nostra voce.
Sono arrivata a Firenze nel settembre del 2006, pochi giorni dopo che eri stata portata al Cimitero degli Allori. Passavo lì davanti tutti i giorni facendo la pendolare durante i miei studi.
Ero una ragazza che voleva farsi spazio in una città che ancora non mi apparteneva, ero entrata in punta di piedi ma dentro di me percepivo una necessità strana e spaventosa di far sentire la mia voce. Studiavo in modo ossessivo: dovevo essere la prima in quell’Università che ancora non mi conosceva. Non per gli altri, per me stessa. Avevo bisogno di trovare uno spazio che fosse mio ma ancora non comprendevo che lo spazio di cui avevo bisogno come l’aria erano le mie parole.
Proprio come te l’ho capito quando sono partita per gli Stati Uniti. Sul volo che mi ha portato a New York per la prima volta ho aperto un quaderno e ho iniziato a scrivere di me.
Adesso devo trovare il coraggio di parlare di te, della tua grinta e delle tue fragilità.
Quanto assomigliano alle mie in entrambi gli aspetti. Scrivo, cancello, riscrivo, rileggo, correggo.
E proprio come te sono curiosa, impertinente e scomoda nel mondo del giornalismo.
Non voglio prendere il tuo posto, le nostre storie sono diverse, siamo nate in epoche diverse, ma sento di aver afferrato la tua staffetta.
MA PORCODDIO