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Miss in New York

  • Immagine del redattore: Erika
    Erika
  • 5 ago
  • Tempo di lettura: 2 min

“Are you happy to be in New York?” Una domanda semplice chiama a ruota una risposta semplice. Mi si legge in faccia che sono felice. Sono arrivata da 24 ore, queste tre settimane sono appena iniziate e sto scrivendo come non ero riuscita a fare da tanto tempo. Avevo bisogno di New York per allontanarmi dalla mia versione europea. È la seconda volta che sono qui e sento che ad ogni passo che faccio, ad ogni scorcio della città che incrocia il mio sguardo mi apro come una matriosca, mi scopro e mi ritrovo. Non sono sogni, sono io, in altre versioni di me che a volte tendo a tenere a freno. Non sento il bisogno di rompere chissà quali schemi, sono stata sempre abbastanza fuori dagli schemi prefissati, ma la “City” mi trasmette qualcosa che riesce a far fuoriuscire le parole con un’altra frequenza.


C’è chi viene per il grande sogno americano, chi per la voglia di fare carriera… Io, ancora una volta, mi sto lasciando guidare dalla curiosità e sto cercando di trasformarla in narrazione, in piccole schegge di pensieri. Mi sto lasciando trasportare e travolgere con pochi programmi e nessuna aspettativa, ho solo voglia di viverla, di osservarla, di camminarla. Osservo molto, mi incanto, mi interrogo, mi perdo per le strade. Ogni tanto mi fermo e apro il quaderno oppure uso il mio quaderno e la mia penna per intrufolarmi alla New York Public Library.

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Ecco, questo devo davvero raccontarlo. In Italia è in Europa per entrare in alcune sale delle biblioteche è necessario esibire un tesserino che attesti che effettivamente appartieni al mondo della ricerca. Sono una ricercatrice ma ho lasciato il mio tesserino dell’università a Firenze ma qui è bastato far vedere un quaderno con quello che sto scrivendo è una penna per poter entrare, come se la scrittura potesse aprire una porta in alcuni casi interdetta. Si può entrare per studiare, per leggere, per scrivere e devo davvero raccontarvi un’altra cosa. Mi ero seduta ad un tavolo e con la coda dell’occhio ho visto entrare una bambina con la nonna, si sono sedute vicino a me. La nonna ha aperto un quaderno e hanno iniziato a scrivere frasi semplici. La bambina mi guardava e, dopo aver chiesto il permesso alla nonna, si è avvicinata e mi ha chiesto perché ero l’unica, oltre a lei ad avere un quaderno, mentre tutti gli altri nella sala avevano con loro dei libri. Le ho risposto che il mio quaderno è il libro che sto scrivendo e mi ha fatto una domanda con gli occhi che piano, piano diventavano ancora più luminosi dalla curiosità: “allora un giorno anche tu sarai in questi scaffali? Mi dici il tuo nome?”. Le ho risposto che bisogna essere famosi per entrare negli scaffali di questa biblioteca, ma lei, con la naturalezza che solo i bambini hanno, ha replicato: “ma tu scrivi a mano, come facevano quelli che sono su questi scaffali”. Le possiamo dare torto?

 
 
 

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