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Il mio primo giorno di scuola

  • Immagine del redattore: Erika
    Erika
  • 15 set
  • Tempo di lettura: 2 min

A Firenze c’è un curioso proverbio che viene usato per il primo giorno di scuola: “L’è Santa Susina, tutti a scuolina”. Curioso perché nemmeno la Crusca è riuscita a dare una spiegazione dell’origine, ma stamani lo sentivo veramente ovunque e, mentre camminavo per andare a lavoro, ho ripensato al mio primo giorno di scuola.


Non vedevo l’ora di mettere lo zaino sulle spalle e camminare verso la scuola. Erano gli anni in cui andavano di moda gli zaini della Seven o dell’Invicta e ricordo che mi impuntai per averne uno diverso. C’era una frenesia assurda tra le mamme per comprare la cancelleria e tutto l’occorrente accuratamente appuntato in una lista che avevano consegnato le maestre. Ero ancora ignara che avrei capito molto di più dei miei compagni di classe dalla loro cancelleria. Anche su quella avevo puntato i piedi: l’inizio di tanti grattacapi e ancora non ero arrivata al mio banco.

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Quando il giorno X era arrivato mi ero messa il grembiulino bianco cucito e ricamato da nonna, zaino in spalla e foto di rito in giardino… rigorosamente tutte con smorfia annessa perché ero nella fase “odio le foto”. Ero pronta a varcare la soglia di classe, a piano terra. Tutte femmine e due maschietti: si iniziava proprio male! Scelsi il primo banco: ero impaziente di capire cosa e come mi avrebbero insegnato e in poche settimane presi il ritmo della scuola, un ritmo lento e poi un giorno da una maestra arrivò la sentenza: “non è portata per l’italiano e per scrivere”. Anche a sei anni non tenevo la bocca chiusa: “tu non puoi insegnarmi a scrivere, a me piace e continuo!”.

Ancora non avevo imparato a mediare il mio caratterino e a momenti non lo riesco a tenere a freno nemmeno adesso, forse è proprio quella punta di spontaneità che hanno i bambini che tengo ancorata a me con tutte le mie forze e che è stata, insieme alla curiosità, la mia compagna di banco preferita.

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Una delle ultime volte che sono tornata a San Gimignano, ho ritrovato un pensierino che ho scritto alle elementari per conto mio, con le “varianti” e correzioni. Raccontavo una piccola storia, dal titolo “La storia del pane che faceva la mia nonna”. Svolgimento: “Mia nonna quando era piccola aoitava la sua mamma a fare il pane perché erano contadini e stavano in campagna. Anche quando si era sposata e viveva a S. Gimignano, continuava a fare il pane e ora vi racconto come si fa: si fa la pasta con farina, acqua, lievito e sale, si divide la pasta in dei pani che si mettono a lievitare per tutta la notte in una madia. La mattina si toglie il pane dalla madia e si mette in forno per un po’ di minuti e quando è si toglie dal forno è pronto per essere mangiato. Mia nonna ora che ha 64 anni fa il pane per la festa dello zafferano e io e la mia mamma ci spalmiamo la ricotta con le noci”.


 
 
 

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