Per le strade della Firenze di Vasco Pratolini
- Erika
- 19 ott 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 1 dic 2024
Se c’è una consuetudine che mi accompagna fin da quando sono piccola è il bisogno di perdermi per le strade di una città. Non posso farne a meno, è più forte di me, perché proprio quando mi perdo scopro e sento il bisogno di scrivere.
Non mi perdo per caso, a volte sento come una sorta di attrazione nel prendere una strada piuttosto che un’altra, esattamente quello che successe qualche anno fa, oddio qualche…18 anni fa. Era il 19 ottobre 2006, avevo da poco iniziato l’università e dovevo andare a prendere un libro in prestito alla Nazionale.
La strada che facevo di solito era invasa dai turisti e decisi di passare per le stradine meno battute. Mi ritrovai in una via che avevo l’impressione di aver letto da qualche parte ma con i libri in mano (argomento: storia medievale e il caro Marc Block) avevo la testa da un’altra parte.
Mi fermai al numero 1 (anche io a San Gimignano ho vissuto al numero 1), alzai gli occhi e vidi una targa: “In questa casa dell’antico centro | nacque il 19 ottobre 1913 | Vasco Pratolini | che a narrare una storia italiana | trasse perenne alimento | dall’amore per la sua Firenze”.
Ero finita in via dei Magazzini davanti alla casa di Vasco Pratolini.

Oggi è di nuovo il 19 ottobre e quindi ho pensato di fare una piccola passeggiata con alcuni dei suoi libri sotto braccio.
I romanzi di Pratolini possono essere usati come un piccolo baedeker per scoprire la città. Ma questa volta sono io a scegliere un itinerario: due strade.
Prima tappa: Via dei Magazzini, nel quartiere di Santa Croce.
Bisogna ricordarsi di alzare gli occhi e cercare il terzo piano perché Pratolini viveva proprio lì e da piccolo, prima della morte della mamma a cinque anni, passava le ore a quelle finestre a osservare i militari della caserma di fronte.
In “Il mio cuore da via de’ Magazzini a Ponte Milvio” la descrive così: “siccome la strada era stretta - una delle strade medievali di Firenze che al centro della città formano come un’isola di silenzio - e i palazzi dirimpettai sembravano piegarsi l’un l’altro via via che ascendevano a tentare il cielo. I terzi piani della mia casa e della scuola diventavano come un unico appartamento: si sarebbe potuto, volendo, accedere da una stanza all’altra senza fatica”.
Pratolini è cresciuto in una famiglia molto povera e fino a 18 anni ha fatto i mestieri più umili: l’operaio in una bottega di tipografi, il cameriere, il venditore ambulante ritagliandosi dei piccoli spazi per rifugiarsi all’università ad ascoltare le lezioni di letteratura.
Seconda tappa: Via del Corno, descritta nel romanzo “Cronache di poveri amanti” con queste parole: “lunga 50 metri e larga 5, è senza marciapiedi. Esclusa dal traffico e dalle curiosità”.
È una via molto curiosa dove ancora oggi si possono trovare fiorentini autentici che sembrano spuntare fuori dalle pagine di uno dei suoi romanzi.
Pratolini si trasferì qui con la nonna materna dopo aver subito un tragico sfratto da via de’Magazzini.
Vittorini che a Parigi presentò la traduzione francese del romanzo, descrisse così questa via: “via del Corno è un archetipo della viuzza povera dove la gente sorride nonostante la loro povertà, ma dove si invecchia in fretta perché si brucia la vita”.
Rileggere Pratolini mi ha sempre fatto venire in mente un’immagine: le passeggiate di un bambino con la nonna.
Gli occhi con cui ha guardato le persone, la città e le sue strade a tratti assomigliano a quelli di un bambino che viene portato per mano e ha bisogno di memorizzare, di annotare, di descrivere come una sorta di cronaca, tutto quello che vede, conservando il ricordo di quei dettagli per costruire i personaggi dei suoi romanzi.
Romanzi che arriveranno solo molti anni dopo. Nel 1937 iniziò a frequentare la casa del pittore Ottone Rosai e a scrivere sulla rivista “Il Bargello”, ma fondamentale fu la fondazione di “Campo di Marte” con Alfonso Gatto e l’incontro con Elio Vittorini.
Ecco una dimostrazione che non mi perdo solo quando cammino ma anche mentre scrivo: ho una voglia di raccontare e di parlarvi di lui che non riesco a fermarmi!
Torniamo un attimo ai romanzi: il primo è “Il tappeto verde” che scrive a Roma nel 1941, parentesi milanese come giornalista e poi napoletana per insegnare all’Istituto d’arte e dove riesce a scrivere “Un eroe del nostro tempo” e “Le ragazze di Sanfrediano” e poi di nuovo a Roma dove tra il 1955 e il 1966 pubblica la trilogia “Una storia italiana” (“Metello” nel 1955, “Lo scialo” nel 1960 e “Allegria e derisione” nel 1966). Un lunghissimo periodo di silenzio che decide di interrompere nel 1981 con “Il mantello di Natascia”.
Pratolini è il primo degli scrittori che vado a salutare quando faccio la mia passeggiata dall’Erta Canina fino alle Porte Sante e tutte le volte che mi trovo davanti a quella semplice lastra di marmo ripenso a alcune parole che ho ben scolpite nella mente e che mi hanno accompagnato in questi anni: “Le idee non fanno paura a chi ne ha”.
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